Gould il lupo in radiodramma
Leonardo Osella, «La Stampa – Torino Sette», 5 aprile 2013

Monica Luccisano aggiunge un tassello alla sua vocazione drammaturgica con un «radiodramma in concerto» che mette in scena, anche come regista, venerdì 5 aprile alle 21 al Teatro Baretti di Torino.  Il titolo, «Gould il lupo», spiega e non spiega: quel che è chiaro è che al centro c’è Glenn Gould, discusso pianista (ma anche tanto altro: musicologo, saggista, direttore, compositore) che suonava in modo assolutamente imprevisto e imprevedibile, nel 1964 si ritirò dalle sale da concerto dedicandosi esclusivamente all’incisione discografica e allo studio, e nel 1982 morì improvvisamente a soli cinquant’anni.
Lo spettacolo al Baretti pone in scena ovviamente Gould, interpretato da Sax Nicosia, ma anche uno degli autori sul quale egli focalizzò maggiormente l’attenzione, il «rivoluzionario» Arnold Schonberg, su cui ha scritto pagine di penetrante lucidità (lo interpreterà Giancarlo Judica Cordiglia). E poi c’è il lupo, con i suoi ululati: una presenza inquieta e inquietante.
Ma logicamente la presenza quasi invasiva sul palco spetta alla musica, con due interpreti ad hoc: il mezzosoprano Manuela Custer e il pianista Diego Mingolla. Schonberg la fa da padrone, sia con i geniali lavori per pianoforte solo sia con l’apporto della voce. Ma non ha certamente l’esclusiva: c’è Ravel con «La Valse» e «L’Enigme éternelle» dalle «Mélodies hébra’iques»; ci sono Henri Duparc  («Chanson triste»), John Cage (estratti dai «Songs Books») e Alban Berg (il Lied «Schlafen, Schlafen»). E soprattutto c’è Bach, l’amore assoluto di Gould, con il «Preludio n. 1» dal «Clavicembalo ben temperato» e con una scelta da quelle «Variazioni Goldberg» che costituiscono il suo contributo più originale e controverso, quasi un lascito testamentario.

 

Gould il lupo. Antagonismo in forma di contrappunto
Letizia Gatti, «L’asino che vola», maggio 2013

Il radiodramma in concerto di Monica Luccisano invera sulla scena del Teatro Baretti di Torino l’hölderiana unità del colloquio – nel senso dato da Heidegger – fra Glenn Gould e Arnold Schönberg, “in tal modo che”, nella dissonanza della polifonia e cioè nella negazione dell’unità, si “rende possibile l’incontro” e l’esperienza di un autentico ascolto.
In un’epoca in cui, come scriveva già Adorno nel 1947 a proposito dell’industria culturale, nell’“unità dello stile […] si esprime la struttura di volta in volta diversa del potere sociale”, assistere a un’opera capace di capovolgere la negazione in piacere, senza rovesciarla nel suo contrario, e cioè nel positivo, è segno che quell’opera racchiude in sé una qualche forma di antagonismo verso il modo di pensare e sentire dominante. È ciò che si può dire in nuce di Gould il lupo, “radiodramma in concerto” per la regia di Monica Luccisano, che ha debuttato lo scorso 5 aprile al Teatro Baretti di Torino. Protagonisti di un colloquio fittizio orchestrato sul registro stilistico del contrappunto sono due artisti di straordinaria levatura come Glenn Gould, il virtuoso del piano, colui che “Con se stesso era l’uomo più spietato che si possa immaginare” (Th. Bernhard, Il soccombente) e Arnold Schönberg, il rivoluzionario, che con lo scardinamento della gabbia tonale è riuscito a incarnare al più alto grado “la lotta dialettica del compositore con il materiale”, che non è altro, poi, che la lotta contro la società del proprio tempo (così Adorno, in Filosofia della musica moderna).
“Siamo in uno studio radiofonico,” – recita il programma di sala – “dove Glenn Gould sta per andare in onda con un suo nuovo lavoro. Dopo la realizzazione del trittico ‘The Idea of North’, ‘The Latecomers’, ‘The Quiet in the Land’, radiodrammi realizzati tra il 1967 e il 1977 per la CBC canadese, racconto in forma di contrappunto, oggi al centro del nuovo radiodramma di Gould è la rilettura della dodecafonia di Schönberg, vissuta come la nuova forma di comunicazione in un mondo che è ormai la negazione stessa della comunicazione”.
In questo radiodramma in concerto pensato per la scena, il contrappunto a più voci – quella di Gould (Sax Nicosia) e di Schönberg (Giancarlo Judica Cordiglia), del mezzosoprano (Manuela Custer) e del pianoforte suonato da Diego Mingolla, che esegue musiche di Gould e di Schönberg, ma non solo (ci sono anche Webern, Ravel, Berg, Duparc, e persino i songbook di Cage) – il contrappunto, si diceva, è la forma particolare di un corpo a corpo che ha nel discorso metalinguistico sull’arte e sull’incomunicabilità del linguaggio il suo baricentro; è una tenzone incalzante, quella tra Gould e Schönberg, che trova una consonanza – si direbbe, una armonia paradossale – nell’espressione dissonante di una ricercata cacofonia, particolarmente riuscita, ad esempio, nei serrati scambi di battute tra i due, a cui fa eco la voce del mezzosoprano e quella, dirompente, del lupo.
La complessità dello ‘spartito’, che richiede, in alcuni passaggi, uno sforzo di comprensione forse più adatto alla pagina scritta che a una messa in scena teatrale riflette in sé una vis polemica contro il pubblico dei grandi eventi, disprezzato da Gould tanto quanto da Schönberg, quel pubblico di massa che attende da uno spettacolo il soddisfacimento degli appetiti, una morbida conferma, una forma di docile rassicurazione.
Gould il lupo non vuole fare presa sullo spettatore abituato a cercare conforto nella familiarità dei suoni riconoscibili e immediatamente canticchiabili; intende interrogarsi, invece, sulle possibilità del dire nel tempo dell’incomunicabilità del dire stesso. Parole e musica hanno urgenza di trovare una logica espressiva altra-da-sé, che passa necessariamente attraverso il veicolo di una nuova forma, non ancora frequentata, e perciò capace di scardinare le strutture di un linguaggio storicamente determinato.
Ma soprattutto, il radiodramma pone al centro il sentimento di solitudine che prova l’uomo e l’artista quando vive il mondo come insanabile ferita, quando trova nell’isolamento il suo unico approdo – salvezza e condanna insieme –, tanto più angosciante quanto più è appeso al sottile filo che lo separa dall’abisso del nulla eterno.